Tempi di crisi

Tanto tempo fa, nel cuore della prima repubblica, esisteva l’istituto case popolari, ente destinato alla costruzione di alloggi per tutti coloro che avrebbero avuto difficoltà nell’acquistare una casa sul mercato libero. L’istituto Case Popolari ha rappresentato per un buon periodo della sua esistenza un interessante e riuscito esperimento ma, come molte situazioni di quel periodo storico, è divenuto centro di potere politico e di favoritismi al punto che molte imprese edili e non solo, sono nate , crescite e morte con l’Istituto stesso.

di Claudio Cecinelli


Negli ultimi anni di vita, l’Istituto era diventato un disastro, specialmente nel rapporto con i fornitori che venivano pagati male, irregolarmente e con tempi biblici, tanto che, molte imprese che lavoravano con l’Istituto fallirono, pur avendo crediti che superavano i debiti;  la mancanza di liquidità ne segnò la fine.

Molti dei giudici fallimentari di conseguenza, decisero che nei casi di fallimento di aziende che avevano rapporti con l’istituto, non era necessario un approfondimento perché il rapporto stesso veniva definito come una causa importante a motivazione del fallimento dell’impresa.

Per molti fu un dramma ma ci furono anche imprese edili che per non pagare i loro creditori, si fecero due conti e decisero di dichiarare fallimento e in questi casi, non subirono alcun accertamento da parte del tribunale fallimentare, facendo affari d’oro proprio con il fallimento dell’impresa che, evidentemente, aveva molti più debiti che crediti; ma il semplice fatto che tra i creditori ci fosse l’Istituto, faceva in modo che nessuna accusa di bancarotta venisse mossa nei confronti degli imprenditori.

Un’altra storia da raccontare è la seguente; qualche tempo fa, parlando con il proprietario di un’impresa che produce food per la grande distribuzione, questo mi diceva che, con il definirsi della attuale crisi economica, alcuni gruppi della grande distribuzione lo avevano invitato ad un incontro per cercare soluzioni adeguate e poter continuare il rapporto di fornitura.

Lui recandosi al primo degli incontri programmati, pensava a quali potessero essere le richieste e aveva fatto una infinità di ipotesi per definire nuove condizioni e mantenere il rapporto di fornitura

Nell’incontro gli fu richiesto lo spostamento dei termini di pagamento a 240 giorni e lui rimase perplesso al punto da rinviare ogni decisione e riservandosi di comunicare la stessa dopo aver sentito tutti i componenti della famiglia che erano coinvolti nella gestione dell’impresa.

Alla fine accettò essendo questo l’unico modo per mantenere l’importante cliente e sperare che l’azienda continuasse ad essere capace di sostenere i costi, reali e finanziari, per produrre e fornire in attesa di essere pagato.

Queste due storie raccontano della capacità tutta nostrana, di approfittare dei periodi di crisi economica senza stare tanto a guardare per il sottile e non vorrei che anche ai giorni nostri, considerato il lungo periodo di crisi che il Paese sta attraversando, si sia tornati ad approfittare, generando, di fatto, la crisi dei deboli e l’arricchimento dei furbi o dei forti.

Le differenze che esistono tra i costi all’origine e quelli al consumo, specialmente per i beni di prima necessità come gli alimentari, sono spaventosi e se solo si prova a fare un parallelo con i medesimi costi in lire, ci si rende conto di quanto sia spropositato il prezzo di vendita rispetto alla media delle retribuzioni; la distribuzione costa notevolmente di più della produzione e quello che nonsi trova viene importato, Dio solo sa da quali Paesi.

Questo vale per le filiere completamente italiane ma anche per i prodotti pagati in Dollari nonostante l’enorme svalutazione che il dollaro ha nei confronti dell’euro.

Se, al tempo della lira, ci avessero detto che per comprare un pacchetto di gomme da masticare bisognava spendere 3.500 lire ( circa € 1.80 ) che per acquistare un litro di benzina bisognava spendere più di 3.000 lire (circa € 1.60) che per una bottiglia di acqua minerale bisognava spendere poco meno di 600 lire ( € 0,30 ) ecc. ecc. forse anche in quel periodo, nonostante gli stipendi dell’epoca, i consumi interni si sarebbero abbassati o avrebbero generato modifiche nella scelta dei beni da consumare.

Probabilmente continua a vincere la repubblica dei furbi, d’altronde dal dopoguerra ad oggi la stampa, la narrativa, la cinematografia, la televisione ed i telegiornali ci hanno sempre fatto vedere che i furbi sono vincenti, gli speculatori hanno macchine sportive, costose veloci e fiammanti e soprattutto sono i deboli ad essere soggiogati dalla giustizia, i furbi se la cavano sempre.

La necessità di un forte cambiamento nei messaggi che arrivano al “Popolo” è fondamentale se si vuole poter sperare nel cambiamento del modo di pensare degli italiani, ormai contaminati da una repubblica piena di furbi e furberie, un Paese in cui, anche nel pubblico impiego, i dipendenti fanno la fame ed i dirigenti, anche se incapaci guadagnano centinaia di migliaia di euro.