Paese che vai.....

Specialmente in periodo di crisi si parla tanto di puntare sui mercati esteri per diversificare i rischi,  oltre che per far crescere la propria attività economica. Facile a dirsi ma non a farsi. A parte la rigorosa richiesta di conoscenza della lingua inglese,  chi desidera operare in mercati esteri anche lontani , non deve commettere almeno un errore di base tipico, specialmente alle nostre latitudini, ossia comportarsi all’estero così come ci si comporta, nei rapporti interpersonali, in Italia.

di Massimo Occhinegro


Occorre d’altronde tenere presente che anche nel nostro stesso Paese, esistono delle differenze tra le varie regioni italiane. Ad esempio, non possiamo pretendere di parlare di affari con una persona, che nemmeno conosciamo, come se fosse una con la quale interloquiamo quasi quotidianamente!

All’estero possiamo pensare alla diversa cucina, che varia da Paese a Paese, non possiamo pretendere di mangiare italiano andando in un ristorante tipico del posto. E sappiamo bene quanto siamo difficili noi italiani perché riteniamo, la nostra cucina, a torto o a ragione, come la migliore del mondo!

 

Culture , religioni differenti ed anche  abitudini diverse,  non possono che influenzare il nostro carattere e quindi il nostro modo di porci con gli altri. Anche se il mondo si avvicina sempre più grazie ai media , social network, costruzioni tutte uguali, Mc Donald’s, Pizza Hut eccetera, permangono rigide impostazioni mentali e culturali, per fortuna.

Il modo di porsi è quindi fondamentale per la riuscita di un incontro di affari. Ovviamente non è sola cosa che dobbiamo tenere a mente.

 

Una delle prime azioni da compiere, è quella di svolgere una sorta di indagine conoscitiva del Paese in cui si intende operare o si desidera approcciare. Parte di questa deve necessariamente vertere sugli usi e costumi del posto. Così come in Italia, anche all’estero si va per stereotipi , non che servano granché, ma spesso ci evitano di fare brutte figure.

Per la mia attività lavorativa ho avuto modo di conoscere tantissimi Paesi del mondo, e con essi,  usi e costumi dei luoghi. Per una migliore comprensione, vi porterò alcuni esempi concreti  di particolarità,  relativi  ad una sola nazione. Tali esempi possono costituire almeno uno stimolo al miglioramento del vostro approccio con gli  interlocutori stranieri.

Occorre tuttavia considerare che in fondo siamo tutti “fratelli” della terra con emozioni, dolori e gioie e questi sentimenti che ci accomunano, ci aiutano a superare molti ostacoli, ma solo con il passare del tempo. La serietà e la correttezza sono valori “trasversali”.

 

Per vostra conoscenza esistono in commercio anche dei libri sul tema. Ad esempio quello di Barbara Ronchi della Rocca dal titolo “Il passaporto delle buone maniere” edito da Sperling & Kupfer, ed il cui sotto titolo “Tutto ciò che occorre sapere per essere i benvenuti in ogni Paese del mondo”.

….USANZA CHE TROVI.

 

La mia esperienza

Giappone

Mi recai per la prima volta in Giappone nel 1996, arrivato all’aeroporto Narita di Tokyo, presi un taxi per raggiungere il centro della metropoli, conosciuta come “Ginza”. I prezzi dei trasporti in Giappone erano molto più cari di qualsiasi altro Paese da me visitato, prima d’allora.

 Una volta saldato il conto, con il batticuore, giacché temevo di non avere contanti sufficienti, mi fiondai per aprire la portiera del taxi e quindi uscire dall’auto. In una lingua chiaramente incomprensibile per me, in modo deciso, ma con voce  non alta, il tassista mi fece capire  che stavo commettendo una sciocchezza.

In Giappone le portiere posteriori si aprono “automaticamente”, ma attenzione solo quella che si affaccia sul lato del marciapiede. L’altra portiera infatti, rimane alternativamente ed  ermeticamente chiusa.

Fatto il check-in in albergo, un bellissimo albergo storico dove campeggiavano ovunque foto dei Presidenti di Stato di ogni dove, entrai finalmente  in camera ed una volta consegnati i bagagli, mi fiondai …in bagno.

Ebbene in Giappone anche il classico gabinetto è “automatico”. Mi trovai infatti di fronte ad una doppia pulsantiera posta ai lati e poiché i giornali giapponesi non erano, diciamo,  molto chiari, iniziai a pigiare a caso un tasto e poi un altro ancora, non contento del primo getto d’acqua che, per soddisfare la mia curiosità, mi battezzò , con mia grande sorpresa, tutta la parte posteriore.

Dopo l’effetto del secondo pulsante, che mi causò tra l’altro, un “salto” non previsto, desistetti dal mio proposito di  schiacciarne altri.

Lo ricordo ancora , come se mi fosse capitato ieri e infatti fu memorabile. All’improvviso, dopo aver premuto , per pura curiosità, quel famoso secondo pulsante digitale, sentii un ronzio di cui ignoravo  la provenienza, fino a quando non mi accorsi che , con mia somma sorpresa, quello strano sibilo, proveniva dalla parte, posta immediatamente al di sotto, della mia seduta.

Una cannula di acciaio,  uscita da un pertugio, posto all’interno del water, spruzzò senza tregua un forte getto d’acqua con una mira da cecchino, nella perfetta direzione, ed a pochi “micron” , dalla mia parte posteriore intonsa.  

In Giappone in pochi parlano la lingua inglese. Per strada si gesticola e noi italiani ne siamo maestri. Mai gesticolare, quindi.

 Vi consiglio vivamente di farvi scrivere in giapponese, magari  in albergo, le informazioni che vi necessitano. Diversamente incontrerete  molte difficoltà negli spostamenti.

Non esistono come da noi le vie con i numeri civici, ma macro zone per cui per raggiungere un luogo per un appuntamento,  dovete assolutamente usare un taxi, anche per poche centinaia di metri.  Diversamente vi complicherete la vita ed arriverete tardi. In Giappone vige la giusta regola della massima puntualità.

Se comunque preferite  “il fai da te”,  potete fare preventivamente uno studio approfondito, raggiungendo , questa volta facilmente, il seguente indirizzo “elettronico” , blog http://nicolaingiappone.blogspot.com/2008/10/il-sistema-di-addressing-tokyo.html.

Tra le altre particolarità vi segnalo che è sconsigliabile augurare un brindisi con un “Cin Cin”, classico nostrano, il significato infatti,  è anche qui, curioso.

Cin Cin, si riferisce alla “parte anteriore posta al di sotto della vescica”,  dei maschietti. Fortuna  che la nota casa di moda Max Mara, non produca, mi sembra, abbigliamento per uomini. Anche quel “brand” ha un significato univoco, similare al Cin Cin. Non chiedetemi dettagli per favore.

In Giappone occorre andarci avendo preventivamente fatto esercizi ginnici idonei per rinforzare i muscoli della schiena. Gli inchini sono fondamentali. Più è importante la persona che incontriamo, più occorrerà spingere la schiena in avanti, assicurandosi di stare a debita distanza per evitare uno scontro tra teste.

Per gli affari è di fondamentale importanza portare con se’ una  copiosa scorta di biglietti da visita, da conservare, rigorosamente nella tasca interna sinistra della giacca, la parte vicina al cuore. Mai privilegiare la parte posteriore destra o sinistra. Per consegnarli dovete seguire poi  un rito particolare.

  1. Estraete il biglietto da visita dalla vostra tasca;
  2. Prendetelo, con le due mani e ponetevi di fronte all’interlocutore;
  3. Non datelo subito, prima dovere fare l’inchino, già descritto, nel mentre, dovete gettare lo sguardo sul biglietto che state consegnando alternando sguardo al biglietto e sguardo alla persona di fronte a voi, senza guardarlo però negli occhi. Dopo una ventina di secondi, finalmente lo potete passare di mano
  4. Dopo aver ricevuto i diversi biglietti , giacché non incontrerete solo una persona ma molte perché il lavoro è assolutamente di squadra,  dovete avere cura di riporli davanti a voi , sul tavolo dell’eventuale meeting.

I saluti sono solo inchini quindi .

Un consiglio: mai dare bacetti sulle guance anche se si è in confidenza. L’imbarazzo sarebbe notevole. Un bacetto ad una ragazza, equivale ad una pacca sul lato B di una donna italiana.

 

Ci sarebbe tanto altro da aggiungere ma spero che abbiate compreso quanto sia difficile ma nello stesso tempo, affascinante il mondo. Una domanda finale è lecita, ma cosa penseranno i giapponesi di noi e quali sono le loro “linee guida” nei rapporti interpersonali con noi italiani? Una cosa è però certa anche noi abbiamo le nostre particolarità.