QUALE FUTURO PER IL COMPARTO LATTIERO CASEARIO ITALIANO DOPO LE QUOTE LATTE

Associazione Generale cooperative italiane   L’abolizione delle quote latte, prevista per il 1° aprile 2015, probabilmente determinerà un sensibile aumento della produzione di latte che, nell’Unione europea, potrebbe arrivare nel 2023 ai 150 milioni di tonnellate. Conseguentemente, anche la produzione di formaggi dovrebbe espandersi, quasi raggiungendo gli 11 milioni di tonnellate. Pertanto, a livello dei Paesi comunitari, ci si sta già organizzando per il prevedibile aumento della produzione lattiera, ed anche perché in generale è cresciuta la richiesta di latte e soprattutto di quella in polvere.

di Mauro Vagni


Il regime delle quote latte è stato un sistema produttivo che complessivamente ha rappresentato una valida regolazione del mercato, ma probabilmente l’Italia non lo ha saputo applicare e ciò ha costituito un grave problema. Con l’ormai prossimo superamento delle quote, si verificherà comunque una iniziale fase di profonda incertezza, sia legata alla crisi economica sia connessa al fatto che i tanti allevatori che hanno acquistato quote avranno a quel punto il loro investimento azzerato.

Come affrontare il nuovo scenario?
Per la verità le modalità di intervento individuate e le altre ancora in corso di definizione dovrebbero consentire il cosiddetto “atterraggio morbido”. In primo luogo, sarà indispensabile incentivare le Organizzazioni di Produttori nonché favorire l’aggregazione di cooperative in funzione della loro competitività sul mercato, attraverso quindi il raggiungimento di una loro adeguata dimensione.
Inoltre, l’applicazione dei regolamenti relativi al “pacchetto latte” potrà senz’altro rafforzare i produttori migliorandone il potere di negoziazione unitamente alla possibilità per lo stato membro di rendere obbligatori i contratti scritti tra allevatori ed acquirenti di latte nonché con la realizzazione dell’interprofessione riguardo a monitoraggio della produzione e regolazione dell’offerta.
Ma anche il ricorso all’adozione di reti di sicurezza più efficienti, quali ad esempio l’aiuto all’ammasso privato di formaggi DOP e IGP o l’acquisto di prodotti tramite l’intervento pubblico, dovrebbe recare tranquillità, specie in relazione alle turbative del mercato.
In Italia, tuttavia, si segnala pure una crescente insoddisfazione dei soci dei caseifici cooperativi che lamentano una remunerazione non equa del latte conferito: fenomeno questo assai pericoloso perché collegato alla possibilità che il socio sperimenti destinazioni alternative ove portare il prodotto, indebolendo di fatto la cooperativa; è anche vero, però, che i costi di trasformazione in formaggi sono alti, specie dove le strutture non sono particolarmente efficienti o decisamente obsolete.
A ciò si può obbiettare che il nostro Paese vanta 248 DOP, un patrimonio di eccellenze casearie con disciplinari di produzione scrupolosi: e se un formaggio si chiama “parmigiano reggiano” la battaglia non si vince sul prezzo bensì soltanto sulla qualità. In questi casi, ancora, i consorzi di tutela potranno dare un contributo notevole attraverso i piani produttivi, che costituiscono uno strumento fondamentale per un approccio al mercato più efficace.
Infine, una cosa può essere fatta da subito per gli allevatori stretti nella morsa della crisi e della liquidità finanziaria: riportare al 5%, in luogo del 100%, il prelievo supplementare per quanti di loro hanno prodotto latte in esubero della propria quota perché ormai è chiarissimo che in Italia, con la chiusura di tante e tante stalle, per dirla in gergo non si “splafonerà” mai più.