Ripensare la cittadinanza europea

In occasione delle prossime elezioni europee del 25 maggio 2014, sarebbe opportuno invitare i partiti italiani ad aprire un dibattito sulla cittadinanza europea. E un mio auspicio perché sono convinto che gli scandali e la legge elettorale prenderanno il sopravvento sulle questioni europee di fondo: cittadinanza europea, fondi europei e d’investimento europei (SIE), immigrazione, razzismo, dumping sociale, nuova politica agricola, ricerca europea e Horizon 2020, cambiamenti climatici, nuove povertà, relazioni economiche UE- Cina, UE- USA, UE – India, ecc..

di Michele Ottati


Chi sono quei cittadini che andranno a votare alle elezioni europei? Sono cittadini italiani e/o europei?
Infatti bisogna fare una distinzione tra la cittadinanza di governo e la cittadinanza di governance. In altre parole, in materia europea bisogna distinguere una democrazia rappresentativa classica ed una cittadinanza di appropriazione, più diretta, con dei diritti essenzialmente politici, una cittadinanza più orizzontale e decentralizzata con una molteplicità di attori responsabili e delle reti variegate.

Il trattato di Lisbona ha fatto per la prima volta un passo in avanti in termini di partecipazione diretta dei cittadini. Un milione di cittadini provenienti da più Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta nell’ambito delle competenze della Commissione.

Tuttavia, si può dire che una democrazia di governance sia più appropriata alla problematica del deficit democratico a livello europeo?

Non è il caso di dire che abbiamo complicato l’ordine istituzionale pur non avendo ottenuto nessun valore aggiunto per quanto riguarda la legittimità delle decisioni.

Perché la democrazia rappresentativa sarebbe più legittima negli Stati membri e non nell’Unione europea?

Visto che l’Unione europea è fondata sulla democrazia rappresentativa e sui partiti politici, paradossalmente, saranno di nuovo i partiti politici nazionali a presentarsi alle elezioni europee.

Prendiamo il caso del Belgio che è uno Stato federale che non ha partiti politici nazionali. La politica in questo paese è fatta da uomini e donne che si distinguono per le loro caratteristiche linguistiche e comunitarie e non per le loro appartenenze politiche. Oggi il Belgio è in costante travaglio costituzionale che spinge sempre di più verso uno Stato confederale.

Sappiamo che l’Unione europea non è uno Stato federale anche se molte competenze sono “federalizzate” o meglio delegate all’Unione europea. L’80% delle leggi nazionali hanno una emanazione europea.

Però quest’esempio del Belgio è significativo.

Bisogna ripensare l’organizzazione politica dell’UE. Le campagne politiche dovrebbero essere condotte da partiti pan europei che raggrupperebbero più partiti politici provenienti da tutti i paesi dell’UE. Al Parlamento europeo la vita politica è già organizzata in questo modo.

Ad ogni elezione europea si è dovuto constatare fino adesso la mediocrità del dibattito politico che gravitava sempre su questioni nazionali e personali.

Il concetto della “sussidiarietà” applicato alla democrazia ha un effetto negativo sulla partecipazione dei cittadini alle elezioni europee.

La democrazia di governance esistente a livello europeo provoca inoltre più burocrazia e più intergovernamentalismo che finisce per paralizzare l’integrazione europea.

Si può rimediare nel frattempo ricorrendo molto di più al dialogo con la società civile. La Commissione dell’UE fa notevoli sforzi in questa direzione.

Ma non basta e comunque è ancora troppo poco. La democrazia di governance richiederebbe che i cittadini europei si approprino dei loro diritti europei. Oggi i cittadini europei sono confinati nelle loro funzioni particolari, quali produttori, consumatori, agricoltori, studenti, ecc…

 I cittadini europei vanno considerati come degli attori globali di questa democrazia di governance.

I cittadini europei debbono prendere possesso dei lori diritti europei di partecipazione per sbloccare tutti quei meccanismi di bloccaggio e chiusura quali riunioni a porte chiuse, accordi di vertice, incontri tra Capi di Stato e ministri, che impediscono alla democrazia europea di emergere.

Un esempio positivo in questo senso è l’obbligo imposto dall’UE per consultare tutti i protagonisti del mondo agricolo e non agricolo in occasione dell’accordo di partenariato tra Stati e Commissione in vista della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e d’investimento europei.