INFORMAZIONE, UN CANE CHE SI MORDE LA CODA?

Parterre d'eccezione al Senato per confrontarsi sulla “censura e le querele pretestuose”, “sul diritto all'oblio”, sul “diritto d'autore”. Tematiche controverse ed attuali che pesano sulla qualità dell'informazione nel nostro Paese. L'iniziativa è promossa da Ossigeno per l'Informazione, l'osservatorio della Federazione nazionale della stampa e dell'Ordine dei giornalisti “sui cronisti sotto scorta e le notizie oscurate in Italia con la violenza”.

di Elia Fiorillo


            Se il presidente del Senato, Pietro Grasso, nell'intervento d'apertura tratta la problematica senza particolari affondi verso il campo della politica, la presidente della Camera, Laura Boldrini, elenca con puntigliosità, tra l'altro, le responsabilità che stanno a capo ad essa: Insufficiente pluralismo, conflitti d'interesse, servizio pubblico alle dipendenze dei partiti. Insomma, un bel pasticcio che proprio la “politica” dovrebbe risolvere, ma non solo.

            Ci dovrebbe essere anche la “libera informazione” impegnata su queste tematiche basilari. Ma essa appare – salvo rari casi - più come un cane, non da guardia, inebetito che si morde la coda, abbaia forte eppoi riacchiappa l'estremità per rimordersela, sempre però rimanendo in una posizione di comodo stallo. C'è poi la questione, appunto, dell'informazione nel nostro Paese che secondo i rapporti annuali di Freedom House e Reporters san frontières è solo “parzialmente libera”, tra i sei paesi fondatori dell'Unione Europea. Secondo l'ultimo rapporto di Freedom House siamo al 68° posto su 197 paesi esaminati. Se, come ha sostenuto la presidente Boldrini, certi declassamenti fossero fatti nel campo economico dalle agenzie di rating, “apriti cielo”. Tutti a porsi il problema di smentire, chiarire, cambiare. Non avviene nessun dramma, invece, quanto si tratta delle classifiche, non meno importanti e infamanti, relative alla libertà di stampa.

 
            Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l'informazione negli ultimi sei anni i giornalisti coinvolti direttamente o indirettamente in minacce, intimidazioni, abusi, sono stati oltre 1400. La verità, però, è che questi dati sono solo una punta di un iceberg. Per Ossigeno “la maggior parte delle intimidazioni restano segrete, inconoscibili perché le vittime hanno paura di denunciarle”. Lirio Abbate è un giornalista del settimanale Espresso, sotto scorta dal 2007. Nel suo intervento non cerca “colpevoli” solamente fuori dalla categoria, ma prova a dare uno sguardo distaccato al di dentro. “Non sono tutti gli stessi i giornalisti in Italia. Ci sono giornalisti e giornalisti”, esordisce. E mette l'indice sull'informazione fatta male, interessata; sulla precarietà insopportabile nel settore. Insomma, se tutti facessero al meglio il proprio mestiere, allora le cose sarebbero diverse. Mi viene in mente il “familismo amorale” di Edward C. Banfiedl e di sua moglie Laura Fasano. L'estremizzazione, cioè, dei legami familiari, di parte, che vanno contro gl'interessi collettivi. Insomma, “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”.
 
            Gli oratori si susseguono, come si susseguono repentine le uscite dall'aula dei partecipanti all'iniziativa. Alla fine dell'evento conto meno di venti persone, relatori e addetti del Senato compresi. Combinazioni? Presenzialismo interessato e di parte? Sintomo d'impegno solo di facciata su argomenti essenziali per la vita del Paese? Chissà.
 
            Non è un convegno come tanti quello che si celebra a palazzo Giustiniani, nella bella sala Zuccari. All'iniziativa è presente anche Frank La Rue, Special Rapporteur ONU per la promozione e tutela della libertà di informazione. Avrebbe dovuto tenere le conclusioni, ma avendo capito – forse - che sarebbero rimasti quattro gatti ad udirlo alla fine, anticipa il suo intervento. Il concetto che ripete è che certo serve   tutelare i singoli giornalisti con le scorte, ma “lo Stato deve mettere in campo dei meccanismi di tutela generali”, sostiene La Rue. E bisognerebbe risolvere anche, e pure presto, la tematica degli atti penali che si trasformano in strumenti intimidatori contro il giornalista. Come pure, per il rappresentante dell'ONU, la pena deve essere proporzionata al reato e non alle capacità finanziare del reo. In primo luogo, sempre e comunque, c'è la necessità di tutelare l'onore e la reputazione dei soggetti, sia importanti che meno titolati, raccontati negli articoli dei giornalisti.
           
         Tra le tante cose interessanti dette, rifletto sulle parole di Antonello Soro, Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza, sul cosiddetto diritto “all'oblio”, alla cancellazione della notizia o al suo aggiornamento, visto che “il dimenticare è umano, ma Internet non vuole”. Mi viene in mente Giancarlo Siani, il giornalista precario de “Il Mattino” di Napoli ucciso dalla Camorra per le sue corrispondenze da Torre Annunziata. Siani, ricordato nell'intervento di Laura Boldrini, non era assolutamente un eroe, né un ricercatore di scoop sensazionalistici. Era solo un giornalista-pubblicista precario che faceva con competenza ed impegno il suo mestiere. Furono i “pentiti” a motivare, per fortuna, le ragioni della condanna a morte di Giancarlo. Stracciando tesi della magistratura, risultate assurde. Ecco, non vorrei che l'entrata tra gli eroi – suo malgrado – di Giancarlo, facesse dimenticare certe responsabilità, anche di quei “colleghi” che accettarono verità insensate senza indagare. Forse, Ossigeno per l'informazione dovrebbe dotarsi anche di un elenco di giornalisti da “ricordare” per aver fatto male il loro mestiere. Servirebbe a dare più credibilità alla categoria.